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Verso un pasto che non fa... pena

Dopo anni di qualità discutibile, mangiare nelle carceri ritrova una parte della dignità perduta grazie a meccanismi di appalto migliori

Il servizio di ristorazione negli istituti penitenziari è un segmento del catering per le collettività di cui si parla poco ma che genera un interessante volume d’affari fino ad oggi appannaggio di pochi operatori economici che da anni si aggiudicano le gare indette dai vari provveditori regionali. Recentemente il sistema è stato scosso da alcune sentenze pronunciate da alcuni TAR e dal consiglio di stato a cui hanno fatto seguito alcune interrogazioni parlamentari. Queste iniziative hanno portato a importatati novità nel settore, mettendo in discussione un sistema ormai cristallizzato che vale la pena di analizzare. Il servizio di ristorazione nelle carceri comprende il cosiddetto vitto per i detenuti, e il sopravvitto, entrambi contemplati dall’articolo 9 della legge del 26 luglio 1975, n. 354. che prevede che ai detenuti e agli internati venga assicurata, ai sensi dell’art. 9 dell’Ordinamento penitenziario e dell’art. 11 del Regolamento di esecuzione, un’alimentazione sana e sufficiente, adeguata all’età, al sesso, allo stato di salute, al lavoro, alla stagione e al clima erogata quotidianamente tramite tre pasti. Purtroppo non sempre ciò avviene. Le quantità e la varietà dei generi alimentari, che l’appaltatore deve fornire per la preparazione del vitto giornaliero, sono previste 12.2021 Ristorando 31 nelle Tabelle Vittuarie (riviste di recente e approvate con decreto ministeriale 9 maggio 2017 in conformità a quanto definito dal C.R.E.A. (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria). Il fornitore del servizio, è tenuto a rispettare le categorie merceologiche e i valori nutrizionali previsti, oltre al calendario di stagionalità di cui all’Allegato A del D.M. 10 marzo 2020 (CAM). Il servizio deve essere garantito, quotidianamente, nelle sedi dei singoli Istituti penitenziari individuati dal contratto. La norma inoltre prevede che Il servizio di vettovagliamento sia di regola gestito direttamente dall’amministrazione penitenziaria e una rappresentanza dei detenuti o degli internati, designata mensilmente per sorteggio, controlli l’applicazione delle tabelle e la preparazione del vitto. In ogni carcere è prevista una “Commissione vitto”, composta da tre detenuti scelti a sorte mensilmente per controllare, sotto la supervisione di un incaricato dal direttore, il regolare andamento del servizio, dalla consegna delle derrate alimentari al controllo della qualità e quantità. A questo proposito occorre far notare che spesso questo compito viene svolto da detenuti stranieri che altrettanto frequentemente non conoscono la lingua italiana, ed è difficile pensare che siano in grado di esprimere un parere adeguato sulla qualità del vitto. Ai detenuti e agli internati è consentito l’acquisto, a proprie spese, di generi alimentari e di conforto, entro i limiti fissati dal regolamento, utilizzando, di solito, gli spacci gestiti direttamente dall’amministrazione carceraria o da imprese che esercitano la vendita a prezzi controllati dall’autorità comunale. La commissione vitto è, integrata da un delegato del direttore, scelto tra il personale civile dell’istituto il quale controlla qualità e prezzi dei generi venduti nell’istituto.

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